Produzioni Teatrali
La Cantatrice Calva
di Eugène Ionesco
con
Maria Paola Bardelli, Fulvia Roggero
Bruno Anselmino, Domenico Brioschi,
Franco Abba, Elena Metta
Regia originale di Massimo Scaglione
Messa in scena di Vincenzo Santagata
Costumi di Agostino Porchietto
Il Teatro delle Dieci, compagnia che si può definire “storica” nella città di Torino, dopo i numerosi trascorsi artistici che l’anno vista protagonista dei primi anni dell’ avanguardia con le messe in scena del teatro dell’assurdo, in un percorso di continua ricerca nell’ambito della drammaturgia contemporanea, ha festeggiato nel 2008, i suoi 50 anni di attività. Su consiglio del Prof. Gian Renzo Morteo, brillante intellettuale e docente di Storia del Teatro presso l’Università di Torino, che ne fu l’ineguagliabile traduttore, fu tra le prime a rappresentare in Italia “La Cantatrice Calva” di Ionesco, anti-commedia capolavoro del teatro dell’assurdo. La prima replica è stata effettuata all’Unione Culturale diretta da Franco Antonicelli e successivamente ha costituito lo spettacolo di apertura della compagnia al Bar Augustus di Via Roma. Correva l’anno 1958 ed aveva come primi interpreti gli attori Franco Alpestre, Piera Cravignani, Wilma D’Eusebio, Luciano Donalisio, Adolfo Fenoglio, Bob Marchese e Carla Torrero.
“La Cantatrice Calva”, che raggiunge effetti di pirotecnica comicità, attraverso giochi verbali, fonemi, frasi prese a prestito da manuali di conversazione, proverbi, banalità di ogni genere viene rappresentata ininterrottamente a Parigi, dalla Compagnia del Theatre de la Huchette, dal 1951 ad oggi venendo a costituire un fenomeno teatrale paragonabile a quello di “Trappola per Topi” di Agata Christie a Londra.
Il Teatro delle Dieci ha stretto rapporti di gemellaggio con il Theatre la Huchette, in occasione della celebrazione dei 50 anni di attività, ospitandolo nella programmazione.
L’edizione odierna del Teatro delle Dieci, che mantiene le linee registiche originali, la vuole riproporre come piccolo fenomeno teatrale, unico nel suo genere, con i suoi ritmi e i suoi funambolismi verbali, per perpetrare una tradizione della compagnia da sempre attratta dagli autori del teatro dell’assurdo.
La Banalità del raptus
in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne 2021
ricorrenza istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, tramite la risoluzione numero 54/134 del 17 dicembre 1999.
a cura di Fulvia Roggero
con gli attori del Teatro delle Dieci
Il teatro, come luogo d’arte e di civiltà non può sottrarsi al compito di concorrere a far luce, a puntare l’attenzione sui gravi temi che affliggono la nostra società attuale.
La violenza di genere, e più specificatamente la violenza sulle donne è sempre tristemente presente nelle cronache di ogni quotidiano e telegiornale.
Ogni anno si assiste ad un incremento di casi e i lockdown hanno in certi casi visto l’incrementare delle denunce fino all80% in più rispetto all’anno precedente.
Lo spettacolo in forma di reading animato da danza, musica, posia, case histories, si pone l’obiettivo di riflettere su come la violenza sulle donne viene raccontata dai mass-media. Spesso si parla di “raptus”.
Ma che cos’è e soprattutto è legittimo parlare di raptus? Raptus dal latino raptus, significa rapimento, derivato da rapere, rapire. In psichiatria si parla di un impulso improvviso e incontrollato mentre nell’arte di momento di ispirazione e fervore creativo.
Quello che ci siamo proposti è un percorso che ci permetta da un lato di identificare le origini storiche e culturali di questi gesti efferati, erroneamente definiti “raptus”, dall’altro di analizzare i fenomeni della cronaca che ci circonda.
Partire dal linguaggio è sicuramente, a nostro avviso un passaggio importante per scardinare i banali luoghi comuni sull’argomento e chiederci quali sono le parole più giuste per parlare di violenza sulle donne. «Un raptus improvviso», «un dramma della gelosia», «una tragedia inspiegabile» e ancora, «un gran lavoratore», «un bravo padre di famiglia»… Sono alcune delle espressioni che sono state utilizzate negli ultimi anni per parlare di donne uccise dai propri ex compagni o di vittime di stupri.
“Dramma”, “tragedia famigliare”, “raptus di gelosia” sono espressioni che giustificano la violenza, riducendola a episodica e inspiegabile follia, ad azione imprevedibile o patologica.
Noi crediamo che l’imprevedibilità non esista e che ci siano ragioni profonde culturali e ancestrali dietro questo tipo di violenze
Le parole creano la cultura e crediamo di fare bene a concorrere, anche con una piccola performance a trasformare la banalità del raptus in una vera rivoluzione del pensiero che possa produrre miglioramenti effettivi nella società.
Fiamme di Punch e Gole di Piccione
Brillante Spettacolo teatrale sul soggiorno a Bordighera del grande Pittore impressionista Claude Monet, raccontato dalla voce inedita della seconda moglie Alice Hoschedé e da altri originali personaggi d’epoca.
Ideazione, regia e drammaturgia: Fulvia Roggero e Silvia Villa
Con Fulvia Roggero, Silvia Villa, Erika Rotondaro
Light designer Mauro Giardini
Costumi Dorina Gai
Liberamente ispirato al libro “Parole a Colori” di Silvia Alborno
Lettere di Claude Monet da Bordighera a Giverny . Gennaio – Aprile 1884
Lo spettacolo ha come punto di partenza il contesto ottocentesco francese e la condizione della donna dell’epoca, vista poco più che un’appendice del marito, per la sua capacità di procreazione, in confronto alle attuali consuetudini, dove l’emancipazione femminile ha compiuto alcuni passi importanti, anche se molto c’è ancora da fare.
Non mancano i riferimenti letterari e artistici del periodo tra la seconda metà dell’800 e i primi del ‘900, ricco di fermenti culturali, dove la figura femminile è spesso però solo una musa dipinta su quadri anche importantissimi, ma di cui non si conosce la vita reale.
“Fiamme di Punch e Gole di Piccione” narra in toni anche ironici, l’appassionante storia del grande Pittore impressionista Claude Monet e di Alice Hoschedé, sua seconda moglie, attraverso le suggestioni di un luogo, Bordighera, dove l’Artista soggiornò tra gennaio e marzo 1884, affascinato dai colori dell’esuberante vegetazione del paesaggio mediterraneo.
Alice, lasciato il primo marito, attende ansiosa il ritorno del marito a Giverny, con ben otto figli da accudire. Durante la permanenza a Bordighera, durata 79 giorni anziché il mese preventivato,
Monet, all’epoca 43enne, dipinge 38 tele, che avranno finalmente enorme successo.
Le fatiche per cercare uno stile innovativo nel dipingere, l’amore per la numerosa famiglia lontana, una nuova vita appena iniziata, la mancanza costante di denaro e le reciproche gelosie, animano le quotidiane lettere che il Pittore scrive alla moglie dalla modesta Pension Anglaise.
Alice Hoschedé, come molte compagne d’artista, è una figura evanescente ma fondamentale nella vita del Pittore: è un personaggio da immaginare, da ricreare, perché purtroppo non si
sono conservate le sue risposte alle lettere del marito; questo spettacolo nasce anche con l’intento di darle finalmente viva parola.
In questo monologo che si fa dialogo, si alterneranno su scena anche l’esuberante Miss Eileen B. Daly, direttrice del ‘Journal de Bordighera’, che racconterà brevi storie sui personaggi stranieri più illustri che popolarono la Città delle Palme tra fine ‘800 e inizi ‘900, (tra cui il grande Botanico, Paesaggista Ludovico Winter), insieme alla piccola, ma ingombrante ‘ossessione’ di Alice: l’eccentrica “Signorina” Americana dal Cappello Rosso, alla disperata ricerca di un marito, presente nella Pensione Anglaise durante il soggiorno di Monet e definita incautamente ‘Graziosa’ dallo stesso Pittore in una sua lettera, scatenando non poche ansie coniugali.
Con ironia e leggerezza si condurrà il pubblico in questo originale viaggio artistico e umano alla scoperta dei grandi personaggi che resero unica la storia di questa meravigliosa Città.